RADICI

Riflessione sulle radici Radici. Dobbiamo sempre fare i conti con le radici; soprattutto quando non ci sono. Quando ci sono, ti condizionano, ti aiutano, ti fanno stare fermo e bene; qualche volta male, spesso peggio.
Le radici, non sono più un luogo, sono una condizione mentale. Quale luogo può esserci per uno nato in città? Una strada? Un'insegna luminosa? Un portone con un negozio? Profili di case alte e basse? Così abbiamo altre radici culturali: le radici di una lingua, di un palato, le radici semplici di un volto amato. Abbiamo radici ideologiche, radici che ancorano all'egoismo, al potere. Abbiamo perso le radici vere, del sentire comune, e non ci rimane che un luogo che siamo noi. Ognuno.
Una volta c'era un terreno; c'era una terra che odorava, mio padre girava scalzo e la terra - quella vera che raccoglie l'humus che è nera o sabbia - che è di tanti colori e cambia, la toccava ogni giorno. Oggi non c'è più contatto con la terra, abbiamo i marciapiedi e le strade d'asfalto: non tocchiamo più la terra e anche gli odori si somigliano ad ogni città: sono smog, benzina bruciata...
Poi nelle nostre calde case dalle molteplici comodità si ci accorge di omologarci sempre di più specchiandoci in televisori, armadi, divani riprodotti come uno spot tante volte da confonderci. La nostra città allora pare essere vissuta dai cosiddetti homeless, dai barboni che in cerca d'anfratti, scorgono dal basso un paesaggio a noi inconsueto, sconosciuto. E' come se un ricordo primordiale sia sempre presente e le radici di una povertà comune ci reclama mentre noi siamo sicuri di essere "chi ce l'ha fatta": protagonisti della storia e partenza ora, sì noi, di nuove radici...Le radici del nuovo benessere. Basterebbe tornare indietro di solo due generazioni per tutti e scoprirci uguali: poveri e contadini. Basterebbe tornare indietro anche di più per scoprirci tutti parenti: scoprire origini comuni. Ma questa è storia. Ma cos'è poi la Storia? Cos'è la cronaca di avvenimenti tristi che aggiungono dolore a dolore e poi qualche rara gioia a rischiarare la coscienza in continuo affanno? E' la vita si dice.
La storia e la memoria sono il nostro sapere e il nostro essere; sono anche le radici. La nostra memoria, il sapere delle nostre origini famigliari, il più delle volte, si ferma a tre generazioni antecedenti: chissà chi era il nonno del papà di nostro papà? Lo sa chi detiene titoli nobiliari o grosse fortune economiche: per il resto solo oscure vite di miseria e patimenti, vita nei campi e morti precoci: pellagra, scabbia, tubercolosi e poi guerre e ancora guerre, interrompono racconti lineari, uguali e simili. Ma qui non passa il discorso di sola identità, di appartenenza, ma il nostro compito, quali testimoni del tempo, di scoprire il nesso tra passato e futuro.
La nostra storia è nell'esperienza degli avvenimenti irripetibili e individuali. La nostra costruzione è nella riscrittura degli accadimenti attraverso la memoria e il racconto. E' questo senso letterale che dà corpo all'anima e alla memoria. E' la parola che ci definisce; con essa entriamo in un tempo della "cultura", che è il tempo della nostra malattia. E' il tempo della parola ed è una parola dire tutto ciò. Quanta storia c'è nel tramandarla, nel cercarla… Infatti come è stato possibile arrivare a distinguere il soggetto dall'attributo e il verbo dal nome? La nostra realtà diventa una misteriosa sintesi tra nome e forma. In ciò scorgiamo il bene e il male, il bello e il brutto; così definire o essere definiti può essere il nostro destino.
Il riflesso tra storia individuale e storia collettiva è della stessa stoffa, dello stesso elemento narrante, le stesse parole, le stesse drammatiche vicende: guerre e pace. Ecco la storia può essere uno dei modi in cui l'anima medita e riflette la vita; la storia diventa psicologia, incontro tra il "nostro" e il "di tutti". Le radici allora diventano semplicemente la storia: sono le radici del racconto; le radici sentite di parole, di bene acquisito nel tempo.
Le radici diventano confuse, sono altro della storia, sono altro da noi. La storia collettiva è una cultura che ci soverchia. L'uomo sociale e l'uomo interiore si mescolano e ritorna ogni volta il dubbio sulla libertà e sulla tenuta morale dello spirito. Così si "mischia" il "tempo profano" della storia collettiva" e il "tempo sacro" della nostra storia individuale.
Il nostro è un tempo sacro dettato dal mito e dagli dei: è questo sentire che si fa esperienza e ci forma l'anima.
Questo tempo e questa storia dovrebbe insegnare; dovrebbe aiutarci a vedere nella penombra per ritornare a cogliere il vero senso del peccato che è quello di invecchiare e morire senza sapere di noi, senza acquisire consapevolezza. E' forse per questo peccato allora che con una oscura "coazione a ripetere" continuiamo a fare guerre, a tramandarci la miseria e questa storia. Continuiamo le radici, le radici del vivere oggi: oggi in città, oggi fermi pur con molti mezzi per muoverci. A pensarci però, le nostre radici cittadine nascono dalla paura. Molto del nostro male nasce forse dall'avere messo radici in un solo posto. Il nomadismo è in fondo nelle nostre origini e con sé oltre che la necessità aveva la saggezza. Andare è nella nostra memoria più antica. Tutte le tribù primitive avevano nel movimento la loro cultura. L'insediamento delle tribù era fatto per essere abbandonato in qualsiasi momento, non c'era l'impronta del “per sempre”. L'uso della pietra era riservato agli dei, ai totem: diventavano segni di un paesaggio che sempre più aveva sinonimia con passaggio; oggi pare che lavoriamo per l'eternità. Se tralasciassimo la cultura del "per sempre" e anche le fatue radici che abbiamo costruito oggi, inizieremmo a pensare il provvisorio in una dimensione nuova e più vicina alla natura; chissà se non ci vedremmo allora diversamente?
La verità è movimento, muoversi e cercare rende significante il percorso: con esso avviene l'incontro e lo scontro. Con ciò costruiamo l'umanità. Guardiamoci e vediamoci tutti un po' nomadi, in fondo il viaggio è la felice metafora della vita. A pensarci poi, le radici le abbiamo in testa, già nel cervello, nei pensieri. Noi non nasciamo "tabula rasa", alcune sinapsi, ci sono già: ci sono date dalla storia, da un'emozione vissuta chissà quando e da chi dei nostri antenati. Ora quelli rivivono in noi e rivivranno dopo. Queste sono le radici nascoste che determinano in molti casi le nostre conoscenze, forse il destino? Chissà, alla fine le scelte le facciamo noi tra diverse cose. Noi non siamo mai una persona sola. Ogni uomo è molte persone diverse: ereditate, imitate, subite, assimilate, confuse, spesso nemiche fra loro, per buona parte inconsce. Tuttavia un uomo colpisce con la sua individualità e sappiamo invece che è un caos. Così l'uomo assomiglia sempre più al mare e alle sue onde, nell'essere costantemente mutevoli e frastagliati nel gioco delle onde...L'uomo è come il mare. Ecco la vera radice è il mare. E' stato un tempo remoto quando un animale con le pinne, uscendo dal mare e guadagnando la terra, ha trasformato quelle pinne lentamente in piedi e mani. Ecco furono le mani a costruirci con la desinenza in u-mani. Ecco sono queste mani la radice che affonda nelle carezze e nei pugni la nostra capacità di integrarsi con l'ambiente e il prossimo.
E' stato poi, un mattino oppure verso sera, sempre vicino al mare, mentre un branco di scimmioni si grattava l'un l'altro, che "l'idiota" del branco si fermò a guardare per aria. Già altre volte si incantava a guardare il cielo e perciò era schernito dagli altri. Quella volta emesse uno strano grugnito era la prima vocale, era la prima lettera di una lunga serie di suoni che diventarono parole: am - mm- ma- mare - madre... Nacque una radice e sempre il mare.

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