SCRIPT
Il destino inconsapevole

Essere e Apparire

Tutto pare fatto per apparire e quello che appare è destinato ad essere visto, sentito, gustato, odorato. L'uomo sembra essere il centro di questa rappresentazione; egli è il primo spettatore e l'interprete principale: è la sintesi per cui Essere e Apparire coincidono.
L'uomo ha per sua natura e costituzione, per sua capacità, il bisogno di conferme d'esistenza e quello è dato dal vedere e essere visti. Apparire quindi significa parere agli altri e questo significa avere o cercare spettatori: esibirsi, mostrarsi, recitare, essere individuati e percepiti e così essere accettati, ammessi, legittimati al bisogno d'amore e al suo appagamento. Così inizia quel lungo percorso doloroso del travestimento per la recita di un copione e di un apparire che questo comporta e che lo SCRIPT ci conferma.
Vi sono sostegni d'identità che aiutano a rassicurarci e a far si che non ci perdiamo, così troviamo appigli al fragile sentimento d'identità. Winnicot, parla di alcuni di questi oggetti "sostegno" che fanno parte della "area transizionale", questi oggetti insieme a certi fenomeni aiutano il bambino ad affrontare le frustrazioni, le privazioni e le nuove situazioni.
In un contesto di fragilità e di identità che pervade la nostra società, la risposta narcisistica, trova -a livello individuale- per chi la fa, nella televisione un potente mezzo di sostegno e di difesa dell'identità: dopo l'abito, la cosmesi, lo spettacolo, la televisione ci fa vivere. Diversamente non si capirebbe come certi individui riescano a dire davanti ad una telecamera cose che non direbbero mai. Le "carezze", poi, di una popolarità immediata data dalla televisione diventano una droga. Un altro mezzo che rafforza lo SCRIPT.
Szaz, psichiatra americano, dice che in fondo esiste una analogia tra il ruolo del malato mentale e quello dell'attore di teatro: tutti e due assumono un ruolo per essere riconosciuti e amati dagli altri. I ruoli diventano strumenti che coprono e mascherano con una soddisfazione narcisistica.Karpmann, uno dei primi allievi di E. Berne, ha individuato nel dramma, con lo scambio dei tre ruoli che lo caratterizzano-0 il Persecutore; il Salvatore e la Vittima - il Gioco più praticato dai nevrotici.
Questi tre ruoli sono intercambiabili e pur essendoci la scelta esistenziale di immedesimarsi in uno, c'è nella relazione drammatica lo scambio di ruolo. Es.: Un divorzio può capitare a tutti, diventa un dramma se non c'è l'accettazione di un fallimento. Se non si vive la separazione come un fatto civile e ragionevole, si scatena il dramma: il voler far pagare all'altro il fallimento. Ecco allora che uno diventa Persecutore, l'altro Vittima. Con l'intervento degli avvocati (i Salvatori) ecco che avviene lo scambio dei ruoli: il Persecutore diventa Vittima e la Vittima, Persecutore. Si entra così in un circolo triangolare che non pone fine al dramma, ma lo alimenta.
L'uscita dallo scambio dei ruoli presuppone far prevalere uno stato dell'Io Adulto. Certe volte si arriva al ruolo di Martire quando la Vittima difende il Persecutore: il massimo dell'identificazione e adattamento al ruolo.
La società come la natura non rappresente affatto il regno della soddisfazione dei bisogni e desideri , ma il regno della realtà oggettiva. L'incontro con la realtà dà all'uomo lo spazio per la soddisfazione "reale" dei desideri. Tutto è surrogato a una ricerca d'amore.
Cercare di essere amati e accettati ci condiziona molto. C'è un film di Woody Allen che racconta questa dinamica interiore, caratterizzandola con la storia di un uomo camaleonte: Zelig. L'irresistibile voglia di farsi amare ed accettare, porta Zelig ad assumere le sembianze dell'interlocutore. C'è in tutti noi uno Zelig: è quella parte che accetta i condizionamenti per farsi accettare e ci aiuta a confermare la nostra esistenza. In ultima analisi, Zelig, ci rivela il proprio annullamento, un rifiuto all'individualità: non accettare l'altro diverso da sè e per questo riconoscersi solo uguale all'altro. Il malessere chequesto comporta ci dà la consapevolezza della parte; che noi siamo e che io sono: chi sono realmente e non che cosa gli altri vogliono che sia o pensino che sono.
La società crea nuovi bisogni e quello che noi chiamiamo civiltà, per Freud, è motivo di profondo disagio: è l'affermazione di una nuova individualità, in una nuova natura. Freud incentrò la sua ricerca sulle nevrosi, quasi una normalità del vivere la civiltà. Il disagio è inserito in una normalità esteriore evidente. Analizzare quanto interagisce la costruzione della società nei molteplici condizionamenti, ci porterebbe lontano; è meglio considerare come noi ci poniamo nei confronti di questi: quanto li avvertiamo, quanto li subiamo.
Tutto appare procedere tra il desiderio e la sua soddisfazione che supera i bisogni fisiologici, come la fame e il sesso, per diventare conoscenza e ragione, valore e idea, realtà ed esperienza. L'antinomia tra avere e essere trova conferma nei fondamentali bisogni psicologici dell'uomo: il bisogno di stimoli e il bisogno di riconoscimento. Questi due bisogni si possono riassumere come bisogno di conferma d'esistenza. Abbiamo bisogno che qualcuno ci dica che viviamo, ce lo dimostri e confermi. Da qui la necessità della struttura sociale che ci garantisce, attraverso le sue relazioni, lo soddisfacimento dei bisogni.
La struttura sociale però non arriva a raggiungere lo scopo, anzi ne apporta diversi altri. Insomma, la società in contraddizione, non frutto di una volontà razionale di individui che hanno sottoscritto un patto per risolvere in modo pratico dei problemi, ma una società frutto di un'idea del sè che non sa come e quanto vuole essere.
Freud dice:" Ognuno deve legare la propria esistenza a quella degli altri così intimamente che , la brevità della propria vita possa essere superata. Parimenti non deve portare a fine, inmodo illegittimo, le richieste dei propri bisogni, ma lasciarle insoddisfatte...L'insoddisfazione fa nascere una forza che cambierà l'ordine sociale, uno stato che non tutti i bisogni personali possano essere soddisfatti. Non c'è soluzione finale al conflitto".
I bisogni fondamentali ci confermano l'esistenza, ci fanno sentire vivi: sono quelli che ci danno stimoli e sensazioni. E' forse per questo che paghiamo per andare sulle "montagne russe"; ci lanciamo nel vuoto attaccati ad un elastico o cerchiamo alcune situazioni rischiose. Svuotata dai sentimenti la vita diventa irreale: la realtà si conquista con il sentimento; perciò siamo disposti a crearne anche falsi: abbiamo la gelosia, l'invidia, il sadismo, la falsa rabbia. Tutti sentimenti negativi e falsi che ci aiutano ad essere infelici. Abbiamo comunque bisogno di un senso, un sentire la nostra esistenza. Cos'è che muove le azioni? Gli atti ripetuti? Cos'è che muove tutti i pensieri? Le idee inutili? Claperede, dice: i bisogni. Sono i bisogni, le necessità che prova l'organismo di utilizzare un dato esteriore per il proprio funzionamento. Per Piaget è uno pseudoproblema, le azioni, i movimenti e i bisogni costituiscono un tutto unico: vivono insieme. Piaget e Freud per primi, insieme ad altri studiosi, hanno osservato le manifestazioni dell'evoluzione mentale. La relazione con l'ambiente, con gli altri, con gli oggetti, diventa la vita.
L'intelligenza è la capacità di interagire, adattare e modificare ciò che ci circonda. In un primo momento l'intelligenza è la capacità fisica, in seguito è la capacità mentale e quella di adattare l'ambiente al processo intellettuale. Naturalmente in un equilibrio di funzioni: soltanto adattandosi alle cose, il pensiero organizza se stesso e soltanto organizzando se stesso, il pensiero struttura le cose.

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